"Consumare preferibilmente entro..." - Racconti

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seconda edizione - 2012 - versione cartacea

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lunedì 29 luglio 2013

Ballarò






La notissima "Vucciria" di Renato Guttuso
Oggi la Vucciria ha ben poco del "mercato".
Ballarò lo è ancora.





Ballarò


La signora della Palermo–bene non frequenta abitualmente quella sorta di souq marocchino che è il mercato di Ballarò (“al balhara” per gli arabi... stavano qui mille anni fa), ma può venirle voglia di andarci, di tanto in tanto, magari con un’amica, perché fa esotico. In certi ambienti, poi, il “vecupevo delle matvici cultuvali” o il “contatto con la vealtà più vevace” della nostra città sono roba molto chic, rispetto alla quale potersi raccontare come protagonisti garantisce, fra un sorso di tè e un pasticcino, sicuri apprezzamenti salottieri.
E poi, vogliamo mettere… l’esaltante commistione fra ribrezzo per la sporcizia (può capitare anche qualche grosso sorcio sotto i cassonetti della munnizza), l’allerta per i sempre probabili scippi, i brividi gelati su per la schiena per lo sguardo del giovane pescivendolo che in tre secondi ti mette incinta in mezzo a quel casino di colori odori rumori, l’imbarazzo nella ridicola obbligatoria recita della trattativa sul prezzo (certe cose, se non le hai nel sangue, e se non hai bisogno veramente di risparmiare i soldi, perché veramente non ce li hai, non le puoi fare come di giusto!), la curiosità per tanti piccoli sketch di diversa pittoresca umanità (la popolana che cafudda un timpulune da antologia sul cozzo del picciriddu di tre anni che insiste a tirarle la sottana perché vuole accattata a pullanchella – il vecchietto che parla col panellaro e gli dice che “Bin Laden allora è vero sbirru!”…), il martirio dei timpani per gli improvvisi agguati di Tony Bruni o di Yano Zappulla scatenati dagli altoparlanti dei venditori di cassette pirata…
La signora della Palermo – bene, nonostante che abbia rinunciato all’oro e abbia scelto un abbigliamento comodo e pratico, è comunque piuttosto riconoscibile anche da parte di un profano che la osservi ad occhio nudo… figuriamoci come risalterà vistosa attraverso i raffinati detector dei putiari e degli ambulanti!
È un fatto di mille indizi, è inevitabile.
Anche se avesse un maglione vecchio e un gonna dozzinale, le scarpe di un negozietto di periferia invece delle Tod’s che indossa, se avesse rinunciato del tutto al fondo tinta, a un filo impercettibile di rimmel, all’appuntamento settimanale con Theo il parrucchiere, alla regolare scontata perfetta cura delle mani, al Breil da battaglia al polso… bè, anche allora uno qualsiasi di questi putiari riconoscerebbe la sua vera appartenenza da un semplice gesto o da un’alzata improvvisa del sopracciglio.

La signora si avvicina dunque ad un banco di frutta e verdura e, aspettato pazientemente il proprio turno cercando di toccare qua e là come vede che fanno tutti, chiede due chili di pesche montagnole.
Il fruttivendolo prepara un bel coppo di carta e lo riempie di pesche pigliandole a due a due. La signora nota che ogni tanto finisce nel coppo qualche frutto ammaccato, mezzo marcio per dirla tutta, e in un impeto che non le appartiene ma che il mercato ha saputo trasmetterle, esclama: “Senta, mi scusi, ma mi sta dando anche le pesche mavce!” Il fruttivendolo, un uomo in canottiera, bruno e tozzo, si ferma, ancora chino sulla cassetta, e la guarda fisso da sotto in su. Poi si rialza, molto lentamente, sempre tenendola lì inchiodata con quei suoi occhi di carbone, e dice: “Signora bella! E che è? I cose frarice l’aviemu a ddari tutte all’avutri?”