C'è
questa storia dei fusi orari.
Ho
la tabella davanti. Un poster appeso a una parete di questo ufficio
con le luci al neon e l'aria condizionata, dove oggi sono rimasto a
fare un'ora di “straordinario”.
Tutto
il mondo, srotolato come un tappetino, solcato dalle linee verticali
che dicono dove e come cambia l'ora. Sempre perché la terra gira e
gira senza fermarsi un momento e se ha la faccia rivolta verso il
sole deve avere per forza il culo all'ombra.
Comunque.
Nello
stesso momento, qui sono le 6 di pomeriggio e in Portogallo sono
ancora le 5.
Se
fossi velocissimo recupererei quest'ora di vita.
Se
fossi ancora più veloce, e in un batter di ciglia potessi trovarmi a
New York, recupererei la bellezza di 6 ore. Tornerei a mezzogiorno.
Diciamo
che dalle 12 alle 18 di questo 27 maggio 2009, potrei essere qui in
ufficio a protocollare documenti di cui non mi interessa nulla e,
nello stesso preciso momento, in giro per la Grande Mela a fischiettare. Alle
18 in punto, per esempio, nulla mi vieterebbe di affacciarmi da una
finestra in cima all'Empire State Building.
Ma
ancor di più... se da New York, sempre istantaneamente, fossi capace con un solo balzo di materializzarmi in California, mi
ritroverei lì alle 15 spaccate.
Capite?
Avrei
tempo a sufficienza.
Allora
allo scoccare delle fatidiche ore 18 di questo fottuto 27 maggio
2009, mentre il primo me, qui a Palermo, starebbe finendo di
protocollare documenti di cui non gli interessa nulla e il secondo me
starebbe scattando foto dall'alto del mitico grattacielo di New York,
un terzo me se la starebbe spassando a surfare sulle onde gigantesche
del Pacifico!