Bene, eccoci qua, dico sottovoce, e un gabbiano si volta a guardarmi un istante. Come se capisse.
Poi torna a fissare l'orizzonte con l'aria di uno che non ha voglia di nulla.
È una mattina grigia, il mare sciaborda pigro.
Male, molto male, dico sottovoce, e il gabbiano si volta di nuovo a guardarmi, ma stavolta resta lì, con gli occhietti fissi su di me e la mia bottiglia.
Che ci fai tutto solo? gli chiedo; dove sono gli altri?
Lui piega appena un po' la testa.
…
Sono a pezzi.
Lascio perdere il gabbiano, mi siedo sui ciottoli del bagnasciuga. L'umidità trapana fino alle mutande, fredda ghiacciata.
Neanche una barca, il mare un deserto.
Lui sempre lì a fissarmi. Sembra vecchio, non mi intendo di gabbiani, ma questo sembra proprio un vecchio gabbiano stanco; immobile, pesante, quasi gonfio.
Tiro giù un altro sorso. Giocherello coi ciottoli, ne butto qualcuno a mare. Piccole pietre levigate biancastre che stanno qua.
Ehi, gli faccio, ci pensi che magari mille anni fa qui era tutto uguale come adesso tranne che noi due non c'eravamo? Mica siamo pietre, noi.
Non risponde. Un gabbiano non può rispondere. È tornato a guardare il mare.
Sai di Jonathan, no? Lo sanno tutti: “Il gabbiano Jonathan Livingston”, un best seller pazzesco, un eroe di gabbiano, il supergabbiano! Non gli bastava volare, capisci? No, troppo poco, troppo facile. Andare avanti, andare oltre il limite, ecco quello che si dovrebbe fare, caro mio.
Ero poco più che un ragazzo quando lo lessi. E lo amai. Il mondo scintillava, allora, e io morivo dalla voglia di buttarmici dentro. Tutto liscio, tutto bello…
E tu? Tu c'hai provato, almeno?
Non ti ci vedo proprio. Ti sarai accontentato di svolazzare qua e là alla meno peggio, giusto il necessario per acchiappare la tua sardina quotidiana e tornare a sonnecchiare.
Butto qualche altro ciottolo in acqua. Pluf. Plufff.
Ho la gola asciutta. Bevo ancora. Lancio in mare la bottiglia vuota. La corrente comincia a trascinarla mollemente verso il largo. La seguo con lo sguardo, ogni tanto un luccichio, sempre più lontano.
Chissà che fine avrà fatto... dico di Jonathan. Quanto vivete voi gabbiani? Un anno? Dieci? Cento?
Il gabbiano è ancora lì, impassibile. Una statua.
Pluf.
Plufff.
sabato 14 marzo 2009
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4 commenti:
Lanciarsi, inconsapevole e felice, verso lo scintillio del mondo non è poi esperienza troppo diversa da quella di un gabbiano che si lancia a capofitto verso un pesciotto che scintillante guizza tra le onde.
Buona pesca e lunga vita ai gabbiani
Un uomo sulla spiaggia rivolge domande al gabbiano come se le rivolgesse a se stesso, è lui stesso il gabbiano sfiduciato, triste, malinconico .
La voglia di essere qualche cosa di più, di essere un Jonathan Livingston con due gambe e senza zampe, essere il supergabbiano e ritrovarsi, invece, in questo povero, che mi immagino anche un poco spelacchiato/ammaccato dai troppi voli che non hanno portato in nessun luogo.
Una foto in bianco e nero di un momento, di un attimo che è perfetta così, nella sua brevità.
Ampiata avrebbe avuto lo stesso effetto empatico sul lettore?
Il bello di questo breve momento, a parere mio, è che le motivazioni che hanno portato quest'uomo a gelarsi il sedere sulla battigia, a bersi una bottiglia e lanciarla nel mare e osservarla sparire tra le onde sono talmente tante e appartenenti a ognuno di noi, che lo preferisco così, senz'ulteriori spiegazioni, per adattarla a momenti miei.
sono tornata a leggerla perchè non la trovo di là.
forse, perchè oggi mi sento molto gabbiano...
Scava dentro.
Passa attraverso la carne verso l'anima così come il gelo dei sassi su cui lui è seduto passa attraverso gli abiti.
Si resta là, seduti nel freddo e nella solitudine, calamitati dalla disperazione, dalla definitità dell'irrimediabile.
Finito di leggere non scompare, rimane indelebile nel ricordo e basta poco, un piccolo dolore o un momento di solitudine, per cedere alla tentazione di tornare là nel gelo, a guardare il mare deserto, a tirare sassi nell'acqua grigia, a parlare muti con un vecchio gabbiano indifferente.
Assai più che bello... magico, forse...
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